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Un divano a Tunisi, ridi che ti passa

Un divano a tunisi
Un divano a tunisi

Colorato, solare e pieno di humor “Un divano a Tunisi” è un viaggio nella psicologia della Tunisi, all’indomani della rivoluzione.

Una psicanalista francese a Tunisi

Cresciuta in Europa, Selma, protagonista di “Un divano a Tunisi”, è una giovane psicanalista che decide di tornare nel suo paese natale per esercitare la sua professione. La Tunisia da lei tanto sognata si rivela però essere decisamente diversa nella realtà.

Straniera in Francia, Selma si ritrova ad essere estranea anche al suo paese. La situazione un po’ assurda di “emigrazione al contrario” mette le basi per questa pellicola tragicomica sfasata e controcorrente in uscita ad Ottobre 2020 in Italia.

Quella che verrà infatti chiamata ironicamente “la Francese” è accolta dalla sua famiglia e dall’entourage con scetticismo e così anche il suo progetto di mettere su uno studio di psicoanalisi

Psicoanalisi spicciola

Che la psicoanalisi sia un branca che suscita pareri contrastanti, non è una novità. Quello che rende “Un divano a Tunisi” ancora più divertente però, è il fatto di centrare questo dibattito nel mondo arabo. L’ironia giocherebbe sulla visione del pubblico del mondo arabo considerato tradizionalista e dove i pregiudizi sono ancora molto diffusi.

Uno dei personaggi dichiara infatti: “Noi abbiamo Dio, non abbiamo bisogno di queste stupidaggini” e impersona tutta quella categoria di persone che non credono nella psicoanalisi. 

Grazie a una dimostrazione per assurdo, la regista Manele Labidi, mostra però la reale necessità delle persone di parlare dei propri problemi e allarga il dibattito a tutte quelle persone scettiche verso la psicoanalisi.

La rivoluzione che libera la parola

Con l’arrivo di Selma, la situazione si capovolge e moltissime persone si presentano alla sua porta per diventare suoi pazienti.

Dopo la rivoluzione tunisina infatti, sono venute a galla molte problematiche che prima erano soppresse dalla censura del regime. Si tratta della situazione della donna ad esempio o dell’omosessualità. Queste tematiche sono presenti in “Un divano a Tunisi” e trattate con molta delicatezza attraverso l’ironia della regista.

Tematiche bollenti del dopo rivoluzione, come l'omosessualità, sono trattate con molta delicatezza e ironia.

Tematiche bollenti del dopo rivoluzione, come l’omosessualità, sono trattate con molta efficacia, delicatezza e ironia.

In questo film viene rappresentata anche l’opposizione delle autorità, spaventate dalla modernità del progetto di Selma. Anche in questo caso, in un modo molto divertente, la regista conduce una critica al governo poliziesco, che resta arduo da sradicare. 

“Un divano a Tunisi” non è un film magrebino

Nonostante l’ambientazione e il fatto che la regista si rifaccia alla cultura araba, “Un divano a Tunisi” non deve essere considerato un film magrebino.

Le tematiche che tratta sono infatti molto più ampie e possono essere esportate in svariate culture. La commedia però beneficia del quadro allegro e confusionario offerto dalla Tunisi del dopo-rivoluzione.

La colonna sonora è infatti internazionale e volutamente non arabeggiante. Tra i brani chiave ritroviamo anche “Io sono quel che sono” della nostra Mina nostrana. Un brano che, a dire della regista, ha influenzato molto la stesura della scenografia.

Le critiche: un affronto alla cultura araba  

Stereotipi in “Un divano a Tunisi”

La volontà della regista sarebbe stata per l’appunto quella di non farne un film di nicchia. La comunità magrebina denuncia però l’utilizzo di troppi stereotipi per descrivere la cultura araba

La discussa scelta dell’attrice

Allo stesso tempo, la scelta dell’attrice Golshifteh Farahani, di origine iraniana, per l’interpretazione della protagonista Selma, di origine tunisina, è considerata da alcuni come sbagliata, perché tradirebbe l’anima del film.

Allo stesso tempo, la scelta dell’attrice Golshifteh Farahani, di origine iraniana, per l’interpretazione della protagonista Selma, di origine tunisina, è considerata da alcuni come sbagliata, perché tradirebbe l’anima del film.

La scelta dell’attrice Golshifteh Farahani, di origine iraniana, per l’interpretazione della protagonista Selma, di origine tunisina, è stata fonte di critica.

Il quadro storico

Inoltre, la polemica contro il regime non sarebbe trattata correttamente dal punto di vista storico e quindi non sarebbe molto precisa e approfondita.

La porta verso la felicità

Queste critiche non intaccano però la forza di questo film che resta una meravigliosa prima realizzazione della regista Manele Labidi. “Un divano a Tunisi” è infatti una commedia davvero divertente e moderna che tra il ridere e il riflettere ci accompagna, seduti sul nostro divano, nell’inconscio dei tunisini e nel nostro.

Per dirla con le parole della protagonista, la psicoanalisi in “Un divano a Tunisi” è “Come un viaggio in se stessi, che permette di trovare la porta verso la felicità.”.

 


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